Page 12 - Il puls
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Il pulsante (non una metafora) 12
Mi ricordo di quando, anni fa, le prime volte che prendevo il
pullman, mi stupissi, trovandomi solo alla fermata deserta, di vedere
l’autobus che si fermava, al mio cenno della mano, esclusivamente per
me, facendo perdere tempo alle cinquanta persone sopra. Ma non
avevo ancora maturato la coscienza del problema dell’inquinamento.
Ora, con un dito fermo cinque camionisti e trenta automobilisti, i
quali, se fossi stato sulle strisce senza un semaforo che mi desse
ragione, mi avrebbero messo sotto. Quelli che impestano l’aria che io
respiro, quelli per cui sulla loro strada (professionale e di asfalto) non
esiste nessun altro all’infuori dei loro famigliari, coloro per cui io non
esisto (come pedone e come persona) trecentosessantacinque giorni
meno venti secondi all’anno. Mettere me prima della loro automobile,
del loro diritto naturale, in qualità di automobilisti e di gente in
carriera, di passare per primi, è davvero una concessione che fanno
pochi secondi all’anno. Costa, ma si rifaranno al verde, con
l’acceleratore.
Loro non sanno che io prima ho fatto rischiosi tentativi per
attraversare la statale (sulle strisce e fuori dalle strisce), che al
semaforo ho aspettato che arrivasse un altro pedone, per essere almeno
in due, che ho cercato di passare con il rosso senza schiacciare il
pulsante (alla fine mi avrebbero travolto e dato torto, senza capire).
Che non credo sia giusto esercitare questo mio diritto.
Ma visto che ormai l’ho schiacciato, tanto vale camminare piano,
dal momento che la durata del verde è sempre quella: venti,
lunghissimi, secondi.
Mi sento un inquinatore, io senza automobile.
Attraversare le dritte e veloci strade altrui è troppo.
Nella società di oggi non si hanno più diritti.