Page 9 - Il puls
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Il pulsante e altri racconti 9
ostacolano il passaggio del flusso. Ma quando si scende a livello della
strada, le si cammina a fianco, la sensazione è terrificante. Ed è
drammatico quando ci si rende conto di questo. A questo ignominioso
e allucinante stillicidio di inquinanti si aggiunge la colpevole
impudenza di quei camionisti che impestano l’aria con l’ammorbante
denso fumo nero dei loro vecchi (o non revisionati) camion (un giorno
o l’altro chiamerò i vigili che finora, scandalosamente, non hanno
fermato quei bastardi: voglio proprio vedere se faranno qualcosa, o
anche se solo verranno).
In questo desolante scenario, si nota, con rincuorante stupore, la
disgraziata pianticella che cresce accanto al guard-rail, e la si benedice
con gratitudine per il fatto di esistere; ci si nutre (spiritualmente, ma
anche materialmente, nell’orario di pausa) delle piante che fruttificano
dal grigiore dell’asfalto, le si studia, se ne diventa esperti, perché il
bisogno di natura amplifica le proprie capacità di osservazione. Sono
molto più esperto di piante io, cittadino, di molti che passano tutti i
weekend in campagna.
Viene fino a qui il tremendo odore di plastica che emana dallo
stabilimento: la frenesia lavorativa mi ha reso insensibile a quell’odore
per anni. Un giorno, mentre mi trovavo a passeggiare là vicino
venendo da fuori, scoprii, con angoscia e spavento, che questo odore
arriva a sentirsi fino a varie centinaia di metri dall’azienda, con le
persone che ci lavorano dentro ormai assuefatte e incoscienti per
ignoranza o ingenuità, o, nel caso degli impiegati, per via del naso
otturato dalle proprie ambizioni. Alla scrivania l’odore, infingardo,
non si farà più sentire, ma se muovi qualche vecchio fascicolo la
polvere di plastica ti fa tossire; e se scendi giù in stabilimento ti viene
un brivido pensando alle persone che devono stare lì tutto il giorno (lì
l’odore non può più essere negato, nemmeno a se stessi).