Page 10 - Il puls
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Il pulsante (non una metafora) 10
Questi cento metri di strada mi portano sempre a fare le stesse
rabbiose e sconsolanti considerazioni sui conducenti dei macchinoni,
tutti goduti nello stare dentro quelle scatole metalliche inquinanti (uno
status symbol da ostentare, beati loro), con quel loro atteggiamento
beffardo nel mostrare di saper sostenere una situazione “a rischio”: la
possibilità di cadere nella propria corsa alla carriera e al denaro (il loro
è un affronto alla sorte, momentaneamente loro favorevole, e alla
sopportazione della povera gente, sfruttata per le proprie ambizioni
nella stessa maniera in cui essi dispongono della salute degli altri
mentre guidano). Loro sì che sono persone fortunate, perché possono
contare, nei momenti di reale bisogno, sulla solidarietà dei loro simili,
su persone che hanno la sensibilità e l’accortezza di salvarli da
autentiche tragedie come quella, per fortuna rara, di quando non
possono usare la macchina: si tratta, quasi sempre, di un amico o di un
collega, munito, è superfluo precisarlo, di automobile, il quale, mosso
da umanissma complicità, eviterà loro di vivere la pesante umiliazione
di andare a piedi o, peggio, di prendere l’autobus.
Sì, la strada è proprio lo specchio della società (e come potrebbe
essere altrimenti?) e l’automobilista l’incarnazione dell’arrivismo e
dell’egoismo dell’uomo.
Arrivo al semaforo, di fronte all’ingresso della ditta. E’ un
semaforo a chiamata: bisogna premere il pulsante per far scattare il
verde (e, sorprendentemente, funziona davvero: dopo pochi secondi
che l’hai schiacciato diventa verde).
Ho cercato di attraversare la strada prima, cercando invano un
varco nella serrata e interminabile fila di veicoli che non mi cedevano
il passo.
Adesso lì c’è il pulsante. Lo puoi vedere come la possibilità che tu
hai di poter esercitare, finalmente, il tuo legittimo diritto a passare (il
pedone conta ancora qualcosa in questa civiltà dell’automobile) o lo
puoi salutare come la rivalsa del povero pedone che prima ha fatto di